Da Medjugorje un monito agli USA

È stato completamente ignorato da pressoché tutti i media, compresi quelli cattolici.

Eppure, chi ha pronunciato quel discorso non è affatto un personaggio secondario nel panorama ecclesiastico mondiale. Le parole dell’arcivescovo Henryk Hoser, visitatore apostolico della Santa Sede a Medjugorje, sono state un pugno nello stomaco e, al tempo stesso, un lampo nel buio. In un breve ma densissimo videomessaggio indirizzato ai pellegrini americani, il presule ha individuato una serie di sfide e di “segni dei tempi” di carattere quasi apocalittico. Monsignor Hoser ha usato un linguaggio totalmente disallineato dall’agenda attuale della Chiesa, assumendo i toni della profezia nel senso più corretto del termine. Una vox clamans in deserto, destinata ad essere ignorata perché troppo scomoda.

L’arcivescovo polacco ha associato il “tempo in cui viviamo” al “mondo immerso nella tenebra” subito dopo la morte di Gesù. Un “tempo di prova”, dunque, a causa della pandemia ma non solo. Hoser si è rivolto ai fedeli americani perché possano vivere con “l’intelligenza del cuore”. Chiaro il riferimento al “cambio della guardia” alla Casa Bianca. Mercoledì scorso, Joe Biden si è insediato come 46° presidente deli Stati Uniti d’America. Moltissimo cambierà rispetto all’amministrazione Trump.

All’indomani delle elezioni, avevamo tenuto a precisare che la vittoria di un candidato cattolico non sarebbe stata assolutamente garanzia di un programma politico accettabile per i cattolici. Tutt’altro. Ebbene, senza troppi giri di parole, monsignor Hoser ha detto: “Se gli Stati Uniti promettono e progettano la loro vita verso lo sviluppo e la protezione della vita umana in tutti gli stadi dell’esistenza, essi si salveranno. Se la politica vi spingerà verso la negazione della vita umana, tutto questo contribuirà ad aumentare queste tenebre che ci fanno paura”

Veniamo ora alle prime battute della nuova amministrazione Biden. Il neopresidente e la sua vice Kamala Harris hanno fatto appello all’unità della nazione, scossa dai tragici fatti di Capitol Hill, dello scorso 6 gennaio. Poco prima di giurare sulla Bibbia, come da tradizione, Biden ha citato Sant’Agostino, il quale affermava che “un popolo era una moltitudine definita dagli oggetti comuni del loro amore”.

Al di là delle buone intenzioni di partenza, però, tutto si può dire tranne che i primi provvedimenti dell’amministrazione Biden non siano stati divisivi. Nel giorno stesso dell’insediamento, il nuovo presidente ha emesso ben 17 ordini esecutivi, che lo pongono in netta rottura con il suo predecessore. La mascherina anti-Covid sarà resa obbligatoria sempre e comunque in tutti gli uffici federali, a bordo dei treni e degli aerei. Gli USA rientrano nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dopo che Trump ne aveva decretato l’uscita, in polemica con la Cina e con la gestione della pandemia a livello globale. Altra “riconciliazione” riguarda gli accordi di Parigi sul clima, da cui l’amministrazione Trump si era sfilata.

Un ambito in cui il cambiamento sarà a trecentosessanta gradi è quello riguardante le politiche migratorie. È stato in primo luogo cancellato il Muslim Ban, con cui Trump bloccava gli ingressi da una serie di paesi ad alta densità di terrorismo jihadista. Biden ha quindi interrotto i finanziamenti alla costruzione del muro ai confini tra Texas e Messico e, nell’immediato futuro, ha intenzione di accelerare la regolarizzazione di almeno 11 milioni di immigrati, in larghissima parte latino-americani.

Gli USA diventeranno così un paese più “accogliente” e, in questo senso, i provvedimenti di Biden si pongono in contrasto non solo con le misure di Trump ma anche con quelle, non meno restrittive, di presidenti democratici come Clinton o Obama. Da questo punto di vista, però, il nuovo inquilino della Casa Bianca rischia di cadere in contraddizione. Lo stesso Biden ha infatti promesso anche l’aumento degli stipendi minimi: l’afflusso indiscriminato di nuovi “immigrati economici” riverserebbe tuttavia nell’intero paese una massa enorme di potenziale manovalanza a bassissimo costo, che rischia di vanificare questi intenti e generare ulteriori reti di sfruttamento lavorativo illegale, mandando così in tilt il welfare statunitense.

Il capitolo più critico, però, riguarda i principi non negoziabili. Si è molto parlato della nomina a Segretario alla Salute di Rachel Levine, pediatra transessuale, il cui nome “da maschio” era Richard. Al di là delle scelte private del nuovo ministro (e in ogni caso si potrebbe molto discutere sull’opportunità di questa nomina), ciò che lascia perplessi sono le politiche che la stessa Levine porterà avanti. Oltre ad essere un convinto abortista, il nuovo Segretario vuole ripristinare l’obbligo (imposto da Obama e poi rimosso da Trump) di distribuzione di contraccettivi anche per le scuole e gli ospedali di ispirazione cristiana. Che l’amministrazione Biden sia particolarmente gender friendly, lo si deduce in primo luogo dalla reimpostazione del sito della Casa Bianca, che permetterà la scelta di pronomi maschili, femminili o neutri, a seconda della percezione soggettiva che ognuno ha di sé.

Questa svolta “arcobaleno”, però, non è soltanto di facciata. Uno dei primi ordini esecutivi di Biden riammette i transgender negli sport scolastici femminili. Il neopresidente ha poi ristabilito l’obbligo per le agenzie federali di non discriminare i dipendenti “sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere”. Sul fronte della vita nascente, poi, Biden e Harris, proprio nel 48° anniversario della sentenza della Corte Suprema che legalizzava l’aborto, hanno diffuso un’inquietante dichiarazione congiunta. La nuova amministrazione democratica, promettono presidente e vicepresidente, si impegnerà ad “assicurare a chiunque l’accesso alle cure”, compresa la “salute riproduttiva” (leggasi aborto), e ad incrementare “l’accesso alla contraccezione”.

Di fronte a un programma che, più che alla dottrina sociale cattolica, sembra ispirarsi all’ideologia global-massonica più spinta, era come minimo prevedibile la perplessità degli episcopati. Il presidente della Conferenza Episcopale Statunitense, monsignor José Horacio Gomez, che pure non era stato tenero con Trump sull’immigrazione, non le ha mandate a dire. “Piuttosto che imporre ulteriori espansioni dell’aborto e della contraccezione, come ha promesso – ha dichiarato il presule nel suo messaggio a Biden – spero che il nuovo presidente e la sua amministrazione lavoreranno con la Chiesa”, avviando “un dialogo per affrontare i complicati fattori culturali ed economici che conducono all’aborto e scoraggiano le famiglie”.

Monsignor Gomez ha quindi lasciato intendere che non potrà esservi alcuna “riconciliazione”, se non vi sarà “un ascolto paziente di coloro che non sono d’accordo con noi e la disponibilità a perdonare”. Chiara l’allusione alla volontà di Biden di sanare le ferite di un paese mai come oggi terribilmente diviso.

Ancora più allarmati i commenti nell’episcopato africano. In particolare, non è stata apprezzata la nomina di Samantha Power alla guida dell’USAID, agenzia federale che gestisce gli aiuti ai paesi in via di sviluppo. La Power, tanto per cambiare, è un’accesa sostenitrice dell’imposizione di politiche lgbt e di controllo delle nascite, in cambio di aiuti umanitari. Una pretesa inaccettabile per i vescovi africani, particolarmente determinati nel custodire le tradizioni dei loro popoli.

Alla luce di questi dissensi episcopali, è più facile comprendere il richiamo “profetico” di monsignor Hoser. Non stiamo parlando dell’ultimo dei complottisti da bar a sfondo mistico ma del luogotenente del Papa presso un luogo cruciale di apparizioni e miracoli. Siamo nell’anno del quarantennale di Medjugorje e si avvicina sempre di più la rivelazione dei dieci segreti. Che l’America sia al centro delle preoccupazioni e dei piani di Maria? Molti cattolici hanno accolto con entusiasmo il debutto di Joe Biden. Noi, anche in considerazione delle sue prime mosse, ci permettiamo di non unirci a questi cori osannanti.

Di  Luca Marcolivio 23 Gennaio 2021

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